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La vite e i tralci

Dice Gesù, nel Vangelo di Giovanni:

“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca”.

Questo passo sostiene che non ci sia differenza tra il maestro, la coscienza realizzata, il Sé incarnato, uno con il Sé assoluto, e l’individuo, che è vivo grazie a questa connessione, produce frutto grazie ad esso; chi non è connesso è come fosse morto, e la analogia lo illustra bene. Non esiste tralcio senza vite, e il tralcio non è altro che la vite in forma di tralcio. Inoltre chi fa l’uva non è il tralcio di per sé, se non perché è parte della vita, che in quel tralcio è divenuta speciale, specifica. Chi fa l’uva è indubbiamente null’altro che la vite; e tuttavia è certamente il tralcio che fa l’uva.

Vediamo come il Maestro qui esponga la verità attraverso il paradosso. In questo breve commento vorremmo sostenere che non si tratti qui di un caso particolare, bensì di una legge generale: la verità non puo’ essere esposta se non in maniera incomprensibile, assurda, inaccettabile. Si presenta come confusione, o come complessità: come tenere insieme capra e cavoli , risolvendo il conflitto?

In una canzone di De Gregori, (Buffalo Bill),ad esempio, si dice

“tra la vita e la morte avrei scelto l’America

superando quindi con un cambiamento di logica la insolubile dicotomia.

La mente infatti non è uno strumento di conoscenza: essa processa i dati, le informazioni, la visione delle cose, in termini dualistici. Vediamo alcune altre dicotomie del genere: si dice anche ad esempio che noi siamo “vero uomo e vero Dio”, che siamo già dei “Buddha” ma ancora non ce ne rendiamo conto, perché siamo in una condizione di ignoranza, di sonno. O ancora: “se nasci tondo non puoi morire quadrato”, si dice, intendendo che il cerchio ed il quadrato hanno forme notoriamente incommensurabili: la quadratura del cerchio non è stata ancora trovata.

E questa della impossibile quadratura del cerchio in effetti è anche l’esempio che Dante propone alla fine dell’ultimo canto della Commedia. A quel punto egli confessa che stava osservando totalmente assorbito nel mistero dei tre cerchi in uno, in cui vedeva la Trinità di Dio e dell’uomo contenuto in essa; ci dice che stava cercando di comprendere, cum prehendere, contenere, vedere, quale fosse questo principio, che consente di equiparare il cerchio al quadrato. E ci dice che era proprio come un geo-métra, un misuratore della terra, che non trova quel principio che gli serve e gli manca (ond’elli indige). Ebbene, ecco che la soluzione della condizione irrisolvibile per la mente accade attraverso un vero e tale salto di percezione che il problema non viene risolto, quanto dissolto (un fulgore percosse la mia mente, un fulmine). Ascoltiamolo:

Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige

per misurar lo cerchio, e non ritrova,

pensando, quel principio ond’elli indige,

tal era io a quella vista nova:

veder voleva come si convenne

l’imago al cerchio e come vi s’indova;

ma non eran da ciò le proprie penne:

se non che la mia mente fu percossa

da un fulgore … (2)”

Ebbene, il paradosso sembra l’unica via, poiché la mente normale non ce la può fare. Nemmeno Dante: sono altezze, o profondità, che non si possono raggiungere, anche per i più capaci, esperti, puri.

Jung propone una versione psicologica di questo confine nella conoscenza, quando ci parla della funzione trascendente:

” La funzione trascendente è il tramite fra conscio e inconscio. E’ quella funzione fondamentale che permette di integrare contenuti consci e inconsci superando il dualismo degli opposti.” (3)

Questa funzione psichica consente di tenere insieme gli opposti e partecipare, consentire, persino far parte, del mistero della congiunzione (mysterium conjunctionis); essa è quella funzione che consente di trovare il bene nel male, di dare la possibilità all’intero di presentarsi in forma paradossale: come quando si dice, ad esempio, che

il male è il trono del bene

Questo detto non esclude che il male sia male, ma ne sottolinea la necessità e persino la sua utilità (non tutto il male viene per nuocere).

Terminerò questo brevissimo commento così:

Sarò breve, Signori;”

Ho finito.


Note

1. Dal Vangelo secondo Giovanni, 15, 5

2. Par 33°, vv.132 e segg.

3. Jung, Tipi psicologici Carl G. Jung, Milano, Boringhieri, 1984

Disegni in crisi

Introduzione

GF, anni 22, Agosto 2019, ricovero in clinica psichiatrica per episodio psicotico acuto.
Diagnosi: depressione maggiore con evento psicotico.

Commento su alcuni disegni fatti in giorni successivi durante e dopo il ricovero, che danno qualche indizio su come stesse e come il processo evolvesse.

I disegni erano su carta da disegno, fatti a carboncino e poi ripassati col fissativo perché non si rovinassero.

L’episodio psicotico si era sviluppato abbastanza rapidamente, al momento del ricovero lui sentiva che quando urlava sentiva il vuoto, come se cadesse in un baratro. Egli racconta che al momento in cui vennero a prenderlo coll’ambulanza per il ricovero coatto in psichiatria, quando i sanitari lo portarono via in posizione orizzontale, lui si rendeva conto di tutto.
Sebbene fosse cosciente, tuttavia, egli era completamente immobilizzato, e il suo vissuto era quello di uno che era alla mercé di chiunque volesse e potesse fargli del male; quindi si sentiva come se ci fosse una specie di fine del mondo.

In questo articolo vogliamo esemplificare come compaiano con chiarezza degli organizzatori mandalici, dei foci di attenzione interiore che svolgono un’azione armonizzante, favoriscono un ritmo interno armonico dell’energia, una euritmia potremmo dire, Un centro organizzatore psichico, quale è a livello psichico il centro di un fiore,
si trova dice Jung in ogni fase di recupero da un breakdown psicotico che si riorganizza: i mandala spesso prodotti dai pazienti in occasione della frammentazione psichica servono alla fase di Rinascita.
Ecco perché in questi disegni gli organizzatori sono così centrali: in tutti i disegni c’è un organizzatore

1. Primo disegno 31.8.1

Nel primo disegno, in basso a sinistra si vede un calderone, (così definito da lui stesso), pieno di cose in ebollizione. È il primo organizzatore che compare.
Mi pare simbolo chiaro di cose che bollono in pentola, grande quantità e temperatura di ebollizione; si vede infatti sopra il calderone una bella attività.
una grande confusione una grande mescolanza di materie.
Il materiale inconscio tuttavia è contenuto in questo recipiente che appare solido, dotato di manici o di un bordo raddoppiato, come un collo con funzione di restringimento ma al momento aperto.
Sopra il calderone inoltre c’è una grande quantità di fumo nero, non solo un po’ di vapore, e nell’insieme si osserva un’oscurità nell’ambiente che va al di là del fumo stesso

Sempre nella parte alta del disegno, al di là del fumo, c’è una fiamma lunga, orizzontale, e subito sotto un grande serpente.
Forse questo serpente, suggerisce, è accompagnato o generato addirittura, da una fiamma in alto, una fiamma del cielo.
Ha i denti avvelenati pronti per mordere, una lingua biforcuta che fuoriesce.
Ha le scaglie all’incontrario, spiega il paziente, come avesse difficoltà a muoversi nella direzione in cui si muove.

Direi che il serpente è decisamente sproporzionato rispetto al disegno ed al calderone; se è uscito da li, non sembra facile rimettercelo; se viene dall’alto, come sembra, può stare ad indicare un aspetto superiore della coscienza, percepito tuttavia, data la grandezza, il tipo di simbolo, e l’atteggiamento del serpente, pericoloso per l’ego, che lo sente evidentemente fuori dalla sua capacità di controllarlo.
Cosi abbiamo visto come il calderone stesso corrisponda ad una funzione, una funzione, cosi come il movimento intelligente del serpente che compare in alto.


2. Secondo disegno. 1.9.2019

Disegno del giorno successivo

Nel secondo disegno si vede un albero sulla destra, con una apertura nel tronco, che sembra come quei buchi dove stanno gli scoiattoli, più o meno all’altezza del cuore, se fosse un uomo.
È quindi un tronco abitato, c’è una anima nel centro.

La chioma è piuttosto piccola, in proporzione al tronco che invece è molto grande.
Nei disegni dei bambini questo corrisponderebbe ad un buon radicamento, ma una insufficiente presenza nel mondo esterno.
Non si vedono le radici, forse non sono profonde? In questo caso possiamo ipotizzare che egli si senta poco radicato.

Accanto a quest’albero il paziente disegna qualcosa che può sembrare la chioma dell’albero, ma che in realtà mi sembra un disegno a sé: potrebbe essere la chioma, vista da sopra o sotto, insomma una specie di zoom sul tema chioma, circolare, espressione del tronco.
Se il tronco rappresenta l’asse dei chakra, la chioma esprime la sua manifestazione ed il suo apparato recettivo, ossia come l’energia del mondo viene assorbita e gestita.

In ogni caso è evidente un simbolismo ordinatore, un secondo organizzatore; questo, in un momento così precoce di crisi, potrebbe essere un segnale prognostico favorevole.
In altre parole potrebbe stare ad indicare una capacità di integrazione del materiale inconscio, solamente in stato potenziale per adesso, ma già presente ed attiva.

Si vede infatti una croce con le estremità ricurve, spiralmente concordi, come nella svastica, che rappresenta l’energia cosmica, la manifestazione del divino nel mondo.

La parola italiana svastica deriva dalla resa del termine maschile sanscrito, svastika,
 traducibile letteralmente come “è il bene” o “ben-essere”. Il simbolo è presente sin dal neolitico. Secondo René Guénon, la svastica rappresenta il polo nord, e solo secondariamente il sole quale funzione riflessa del polo. Esso rappresenta il moto di rotazione intorno a un centro o asse immobile (Axis Mundi). Guenon sostiene che la svastica sia disegnato dalla rotazione del Grande Carro intorno al polo nord celeste. In ambito induista il simbolo con i rebbi rivolti a destra (卐) è associato con il Sole e con la ruota del mondo che gira intorno ad un centro immobile, e quindi emblema di Viṣṇu (e perciò anche di Kṛṣṇa), del mondo manifesto; invece, il simbolo con i rebbi rivolti a sinistra (卍) è associato con i rituali tantrici della dea Kālī, e con il mondo immanifesto.
Tale simbolismo è invertito nel Buddhismo e nelle religioni sciamaniche dell’Asia centro-settentrionale.

La svastica qui sembra ruotare in senso orario

Uno di questi bracci interferisce un po’ con un altro, mentre gli altri sono distanziati e liberi; questo braccio sembra anche tendere ad essere in direzione diversa dagli altri tre, forse ortogonale, ma il movimento è accennato; potrebbe essere sia indicazione di disturbo nella armonia che stavamo vedendo potenzialmente prospettarsi, sia una integrazione nel numero 4 dei primi tre., ma forse stiamo anticipando troppo.

In alto a destra forse un uccello, forse una nuvola, qualcosa che sembra delimitato, e non libero di volare.


3. Terzo disegno. 2.9.2019 

Giorno ancora successivo

Il disegno successivo mostra con evidenza una suddivisione regolare in quattro quadranti. Questo ripete il movimento organizzatore della croce e della svastica nel disegno del giorno prima.
L’organizzatore si ripresenta costantemente.

Al centro si osserva una figura che non è più circolare ma tendente al triangolare, con una figura inscritta.
Anche questo è un organizzatore, con una periferia fatta da riccioli, o meglio spirali, come dice lui, (o da R, lettera comunque solare (Ra)), che delimitano lo spazio ossessivamente; un tema di controllo di quanto accade dentro.

Si osserva un’ onda portante sul piano orizzontale, una onda sinusoidale che sembra indicare un movimento dell’energia che ha un sopra e un sotto rispetto alla linea di base, una armonizzazione, una frequenza base, che da la base.

Una croce viene individuata dalla linea orizzontale detta, e dalla verticale della quadripartizione ricordata; ma una seconda croce incrocia la prima, riproponendo il tema della doppia croce, ossia della croce spostata, in movimento, insomma della svastica.

Al centro di questa rosa dei venti si svolge un processo. Il simbolo, che in parte ritornerà nell’ultimo disegno, sembra un occhio, un seme; sembra un movimento di una specie di losanga chiusa sopra è di una losanga aperta, che si apre verso il sotto, o viceversa, due radici che si fondono a creare un intero, un terzo elemento di sopra.
Queste due radici che divengono un elemento unificato sopra ricordano il caduceo, la corrente ascensionale della Kundalini che da alla testa, come in questo caso.
La figura centrale riguarda certamente un processo al centro, al centro della coscienza, spesso simboleggiata dall’occhio; i due elementi potrebbero essere anche quindi una vista che nella crisi è più aperta al profondo, come se fosse un occhio più esterno un occhio interno.


4. Quarto disegno, 16.9.2019

dopo la dimissione.

In questo disegno finalmente compaiono i colori. Questo sembra già un elemento positivo, per nulla scontato, e che potrebbe confluire in una prognosi non troppo negativa (vedi letture dei colori nel test di Rorshach).
Dopo i disegni precedenti, qui compare il desiderio, il bisogno del paziente di mettere una macchia di colore, al centro, questo è il messaggio che per primo colpisce l’osservatore.

Il colore potrebbe stare ad indicare che Il paziente è in grado di prendere contatto ed elaborare il piano emozionale della crisi.

Il disegno raffigura una nuvola rosa, eseguita con i colori a cera, che hanno la caratteristica di essere pastosi, materici ma anche maggiormente “incarnati” del carboncino.
La nuvola è, come nel primo disegno, qualcosa che appartiene al cielo, ed è disegnata con un colore non inquietante.

In alto a sinistra un glifo a mo’ di firma, quasi un recupero di identità: vediamo una N disegnata in modo particolare.
A questo proposito, il paziente associa un riferimento ad un film di avventure a lui care, credo Naruto, dei manga giapponesi.

Il glifo è composto da una spirale, o una vocale, e dalla N, lettera che anche come suono è tradizionalmente simbolo del centro (Nun, vedi sempre Guenon).

Al centro della nuvola uno zigzag; forse un fulmine?
In realtà il segno sembra indicare una forza doppia, come testimoniato dalla doppia inversione di direzione. Il segno descrive come una prima parte che sale, seguito da una parte che scende, e le due parti si congiungono dentro la nuvola.
La nuvola – coscienza le contiene dunque, e fa da vaso a questa operazione; non le nasconde o impedisce.
Questa nuvola rosa richiama anche vagamente il cuore.


5. Quinto disegno, 23.9.2019

settimana seguente

L’ultimo disegno raffigura una porta che si apre su un muro, su un fondale scuro che si apre invece verso una zona più chiara.
È un chiaro simbolo di passaggio, di cambiamento possibile (la porta è aperta, spalancata).
La porta è disegnata come una losanga, o come un triangolo con la punta in alto.
La sua forma ricorda la montagna sacra da attraversare, che porta ad una chiarificazione della coscienza (vedi monte Purgatorio).

La porta ha degli archi, degli stipiti costituenti, non è solo un varco.
Vediamo qui nuovamente la confluenza dei pilastri della porta come due radici, o correnti, che salgono all’apice,
dal quale inizia a salire questa losanga-fiamma-coscienza, un occhio che vede, questo è il passaggio.

Sopra la porta, come simbolo di viatico, come prova da superare e lasciapassare da acquisire, trovasi una losanga simile a quella del disegno precedente.
Nel centro della losanga ci sono due germi che si arrotolano.
Sembrano quasi due occhi, o per meglio dire l’insieme sembra un occhio solo, ricorda il simbolo del Tao (associazione fatta dal paziente).

Alcune ultime considerazioni.
Abbiamo visto la progressione operativa organizzatrice dei mandala disegnati: nel secondo e terzo dei disegni, compare una struttura quadripartita con elementi evolutivi come le spirali, flusso, movimento organizzato.
Questi organizzatori consentono una focalizzazione, una concentrazione della coscienza che portano dapprima alla attivazione del colore, quarto disegno, poi ad un passaggio, ad uno sbocco, una porta, che vediamo nel quinto disegno.
La porta è descritta come stretta ma in basso si apre, consente il passaggio, no è una fenditura: essa per la sua forma d’altronde nello stringersi in alto descrive un organizzatore, quello che consente ai due dei canali laterali di riunirsi, di fare di due uno: si tratta già della via del ritorno oltre che la via dell’andata.

Questo congiungersi delle due linee portanti, dei due stipiti convergenti della porta potrebbero riferirsi alle due correnti ascensionali dei due canali laterali, Ida e Pingala, che entrano in Shushumna. Questo entrare nella porta centrale è il simbolismo di molte religioni, di ogni iniziazione.

In questo senso la crisi psicotica è una iniziazione ad una visione, ad una coscienza unificata, che comporta lasciare la vecchia identità al di qua della porta, per procedere ad una nova visione della vita dall’altra parte.
Anche questo è un segno prognostico favorevole, poiché indica la possibilità di questa operazione in questo soggetto.

Riflessioni catamnestiche e conclusive

Nella psicosi è costante la esperienza del crollo dell’intero mondo, (casca il mondo), e della propria identità, in grado di reggere difendersi fuggire o altro, (casca la terra); è costante un senso di perdita di contatto colla realtà.

Tuttavia, è evidente a chiunque lavori in questo campo come esistano differenze sostanziali tra chi riesce ad attraversare più bene o più male questa terra o mare di nessuno, questa notte oscura dell’anima, questa catastrofe, ossia questo rivolgimento dal centro del sistema psichico coscienziale.

La differenza fra un episodio di psicosi ed un altro si vede soprattutto nella evoluzione, che talvolta è benigna verso un recupero completo, altre volte invece evolve verso una cronicità, con ripetute ricadute, come nelle schizofrenie e nelle psicosi paranoidi; tra questi due estremi esistono tutte le forme di psicosi osservabili.
La difficoltà ad attraversare l’episodio acuto e la radice della sofferenza nelle forme croniche risiede a mio parere nel grado di identificazione egoica precedente, ossia da quanto la persona è in grado e preparata a vivere questo distacco da sé come si era rappresentato sino ad allora.

La mente proietta nel teatro dei simboli, nel linguaggio psicologico questa catastrofe come se ci fossero degli attori, una visione dualistica (“impura”), in cui ci vogliono uccidere così e così, o che noi dovremmo uccidere noi stessi così e così, o che dovremmo uccidere i nostri cari, eccetera; compone storie a seconda dell’immaginario in cui si svolge, del “mezzo” del cammin di nostra vita, della coscienza individuale.

Nei primissimi tempi dopo la dimissione egli si sentiva incerto sulle proprie capacità, ed aveva delle reazioni interne molto intense e non molto equilibrate; di quel periodo è il seguente sogno:

“Dovevo sostenere un esame, forse a quiz; non riuscivo a risolvere l’esame, andavo in confusione e comincio a sbattere fortemente la testa contro il muro per la disperazione, la confusione e la rabbia”

Nei mesi successivi, seguendolo con colloqui e farmaci, ho potuto osservare una sempre maggiore lucidità, stabilità, positività e propositività del giovane, al punto che abbiamo portato la frequenza delle sedute da settimanali a quindicinali e ridotto i farmaci.

Il paziente, allievo in un corso di Tai Chi, pensa adesso di procedere in quella formazione e diventare egli stesso insegnante; nel corso del periodo post ricovero, in effetti fece il seguente sogno:


“Diventavo maestro di Tai Chi, per due miei amici, ed ero contento di questo”

Pochi mesi fa, il padre del paziente è stato ricoverato per un infarto miocardico poi risoltosi bene; questo episodio scosse fortemente il mio giovane paziente, perché gli ricordava il suo proprio ricovero,.
In quei giorni, tuttavia, egli fece il seguente sogno:

“Sognavo che mi stavo svegliando durante una lezione di greco, e che la mia insegnante di allora mi stava rimproverando per questo dormire”

Questi sogni nel loro insieme ci confortano nella opinione che il processo di crisi e trasformazione abbia proseguito il suo lavorio sotterraneo durante i mesi seguenti il ricovero, portando ad una nuova identità più matura, capace di insegnare saggezza e di essere più sveglia di prima, a livello animico.

Si vede infatti nella evoluzione clinica complessivamente una buona tenuta del sistema, sia prima che dopo il momento difficile della crisi del padre: il confronto con la paura della fine, della morte, della disgregazione è affrontata con maturità , equilibrio e forza.

E se esaminando il sogno riferito fatto poco dopo la dimissione si vede come non vi fosse molta capacità di potere reggere la condizione di sprofondamento, al contrario nei sogni pià recenti, relativi alla crisi del padre, possiamo vedere come egli dimostri una buona stabilità psichica.
In effetti nel corso di questi due anni in cui lo ho seguito con farmaci e colloqui, non si sono verificati altri episodi psicotici franchi, nonostante la riduzione e poi l’interruzione della terapia antipsicotica, ad eccezione di una piccolissima riaccensione della instabilità all’inizio del periodo natalizio, episodio tuttavia subito criticato, contenuto ed isolato.

A distanza di un anno e mezzo, il paziente ha ridotto e quasi smesso le medicine, non ci sono segni di ricaduta, e sta lavorando ad integrare ciò che è emerso, con dei colloqui quindicinali in cui si dimostra gradualmente più responsivo, adattato alle circostanze, sereno.

Riducendo i dosaggi dei farmaci neurolettici in funzione del recupero della capacità integrativa, il paziente ha manifestato nel rapporto con me, con la ragazza e la famiglia e l’ambiente, maggiore attenzione, concentrazione, senso dell’ironia, ed un miglioramento nella qualità e dinamica nei sogni. Infatti, i processi simbolici psico sintetici si presentavano anche nei sogni del paziente, (che qui non riporteremo in dettaglio), e mostravano uno sviluppo interno coerente colle manifestazioni consce.

In questo breve scritto si voleva mostrare come un andamento favorevole nella psicoterapia si poteva intravvedere già al principio, nella sequenza dei disegni e nel loro contenuto archetipico.

Dr. Claudio Maddaloni, psichiatra e psicoterapeuta del giovane.
Magliano, 5.12.20

Sogno della torre

L’IMPORTANZA DEI SOGNI di Claudio Maddaloni

Categorie: Altre dimensioni, Olos, Sogni

I sogni ci portano dei messaggi inconsci, li presentano alla coscienza; noi spesso li dimentichiamo, di solito non li fermiamo su un foglio, un quaderno; spesso non diamo loro molta importanza, pensiamo di solito non abbiano un grande significato

Invece ogni sogno può essere interpretato e, se adeguatamente analizzato, ci restituisce un significato utile alla direzione della vita diurna, alla coscienza di veglia.

In questa rubrica cercheremo di esaminare sogni di ogni tipo, ed in particolare sogni “d’Oro”, ossia preziosi, ritenuti significativi, o con un forte

impatto emotivo sul sognatore; sogni che contengono simboli, archetipi, segni del mondo sommerso che spesso trascuriamo.

Vedremo nel tempo con successivi articoli di illustrare il metodo, rigoroso ed analogico, intuitivo e misterioso con il quale possiamo meglio avvicinarci a comprendere il sogno.

Iniziamo esaminando il testo di un sogno:

Vedevo sospesa in aria, come una mongolfiera, la torre del mio paese; essa è quadrata, medioevale, e sulla cima porta un albero, riportato anche sullo stemma del paese, Arrone.

La torre era stata come distaccata dalle fondamenta, e rimanevasospesa in aria sopra di me; così la potevo vedere da sotto e da dentro.

Vedevo le radici dell’albero che essa porta in cima, che penetravano nella torre, e quasi fuoriuscivano da sotto; non c’era terra, la torre per il resto era vuota. Le radici si attorcigliavano verso la estremità inferiore, come le donne fanno coi capelli a volte, come una spirale.

Ero un po’ stupito ma anche contento di vedere dentro questa strana situazione.”

Una prima cosa da fare esaminando un sogno è di analizzare i simboli che vi compaiono, quindi associando altri materiali, o del mondo interiore del sognatore, sue memorie passate, o materiali che provengono dalle produzioni artistiche, letterarie, dal conscio collettivo diciamo così. Nel primo caso faremo un lavoro di associazione, nel secondo diamplificazione.

Impiegando in questo caso soprattutto il metodo della amplificazione, possiamo esaminare i simboli principali che compaiono in questo sogno. Questo metodo di lavoro verrà ripreso anche nei successivi

articoli, aiutandoci a comprendere meglio il significato generale di alcuni simboli spesso a trovarci nei nostri sogni e nella nostra vita interiore.

Il sogno si apre con un simbolo centrale, il simbolo della Torre.

La Torre, soprattutto una torre come quella centrale in un paese, che viene eretta sopra il culmine di un colle, un monte, come ad esempio la torre di un castello, rappresenta un simbolo di potere per il territorio, di centratura e fortezza, di riferimento come un asse del mondo, di solidità.

Per indicare quanto stabile sia per la nostra psiche il simbolo di una torre, ricordiamo un passaggio di Dante: Sta “come torre che non crolla/giammai sua cima per soffiar di venti”.

La torre sognata in questo caso è quella del castello di Arrone, la quale effettivamente porta sulla cima un albero, un ulivo in vaso, e tale simbolo compare nello stemma dei duchi di Arrone, famiglia romana che fondò il borgo nel medioevo.

La torre è qui un simbolo interiore e rappresenta la struttura dell’Ego, che dirige le cose nel paese di dentro, che si erge verso l’alto a dominare il mondo.

che ritornano più

È una costruzione antica questa dell’ego, come una vecchia torre, e si erge dalla terra verso il cielo, ha un suo messaggio da portare; ricordate la notissima poesia del Leopardi? “D’in su la vetta della torre antica/ passero solitario alla campagna/cantando vai ….” Sembra che sia la torre che parla.

In generale la torre di un castello fortificato indica una posizione, una presenza, un deterrente, una sfida. La torre si alza verso il cielo quasi a sfidarlo; la torre di Babele, ad esempio, aveva questo significato, la torre della carta dei tarocchi lo stesso. Tale arroganza verso il cielo viene di solito punita, come accade nei due esempi citati, fino alla distruzione totale.

Nel sogno che stiamo esaminando tuttavia non si tratta di un elevarsi materiale verso il cielo; la torre è divelta da terra, e sollevata quasi per leggerezze, come un pallone aerostatico, forse dall’albero stesso che in maniera viva e religiosa si eleva verso il cielo.

Così in questo sogno la torre non sembra elevarsi per forza propria appoggiandosi sulle forze della terra, bensì si eleva per una specie di miracoloso

intervento del cielo, che solleva una cosa pesante come una torre.

Un secondo simbolo importante che compare nel sogno è quello dell’albero. Nella torre di Arrone l’albero è in vaso, e non cresce dentro la torre; ma nel sogno la torre sembra svuotata e solo le radici dell’albero la riempiono, la innervano, la vivificano; sembra una struttura materiale abitata da un principio vitale. Le radici sono la vita dell’albero, e nel nostro corpo, paragonato ad un

albero, tutto ciò che è fondante, fondamentale, basilare, dal quale possiamo trarre il sostentamento di base.

L’amplificazione di questo simbolo ci porta all’albero della vita nell’Eden, all’albero della conoscenza del bene e del male.

L’albero eterno, sempreverde (ricordate ? “l’albero a cui tendevi / la pargoletta mano/ il verde melograno dai bei vermigli fior/ nel muto orto solingo rinverdì tutto or ora…”)

L’albero asse del mondo; si tratta di un albero sacro, come le querce dei druidi, come l’ulivo di Arrone. Così questo simbolo ricorda l’energia fondamentale che consente alla torre di elevarsi.

Un terzo simbolo è quello della spirale, di attorcigliamento intorno ad un asse vitale, caratteristico di queste radici. Questo secondo simbolo è strettamente connesso con il secondo.

Nel simbolismo dell’albero, viene subito in mente la famosa immagine del serpente attorcigliato attorno all’albero del giardino del paradiso. Il serpente rappresenta l’energia di base dell’albero, che sale spiralmente lungo la colonna vertebrale energetica. In oriente tale energia ascendente viene
chiamata Kundalini.

L’energia vitale non è buona o cattiva; nel suo uscire dal giardino interiore, nel trascinarci nella illusione del mondo possiamo dire che è diabolica. In altre parole, se noi la seguiamo finiremo col separarci da quel giardino di bene nel quale eravamo immersi nello stato originario, primordiale.

Ma se la indirizzassimo verso il cielo, verso i centri energetici superiori, come dire verso il sole, allora tale energia ci farebbe volare in alto.

Quindi il simbolo che compare è una energia radicale che fa sollevare la struttura, e rimanere senza sforzo sospesa.

La reazione emotiva del sognatore, il suo vissuto soggettivo, è sintonico con il sogno; egli non si allarma di avere perso “la terra sotto i piedi”, come si dice, non ci sono segnali di dramma, di pericolo incombente, egli accetta di buon grado, con stupore e con gioia, il fenomeno descritto con queste immagini.

Abbiamo così visto molto in breve come dei simboli più grandi di noi abitano la nostra psiche inconscia; vivono in uno spazio a noi ignoto, inconscio appunto, fino a che emergono in superficie e ci parlano; il sogno corrisponde quindi ad un dialogo interiore attraverso simboli archetipi, grandi immagini che contengono una saggezza, un orientamento, una soluzione ai nostri drammi di coscienza confusa e sbandata. Ci aiutano ad orientarci, sono come un farmaco per la coscienza.

Nel libro “Guida al mondo dei sogni per una profonda conoscenza di Sé”, pubblicato dalle edizioni Sì, ho proposto una semplice traccia per seguire sogni maggiori e minori e cominciare a divenire più familiari con questo mistero che ci parla da dentro, di cui vorremmo sapere di più….

Wisky ragnetto

Wisky  ragnetto

risale la montagna;

la pioggia lo bagna,

e wisky scende  giu.

Più – giù.

Ma poi esce il sole

e wisky si asciuga;

risale la montagna,

e va sempre più su.

Più –  sù.

In cima alla montagna

c’è una casetta ;

con dentro una streghetta,

che lo vuole mangiare.

Gnam – gnam

Ma wisky è molto furbo

e   corre dalla sua mamma,

e non la lascia più.

Mai – più.

Questa canzoncina che mia figlia ha imparato all’asilo, all’età di quattro anni,  è un piccolo compendio  della Divina Commedia.

Riguarda  un ragnetto,  insetto insignificante e  non proprio bellissimo e buonissimo. Riguarda ciascuno di noi. Gente un po’  bruttina, un po’ neretta e sporchetta, che striscia ed uccide, che tesse inganni, gente scesa qui giù lungo un filo, un filo ragnatela che ci intriga qui, un filo di Arianna: dovremo infatti tornarcene da dove siamo venuti.

Il ragnetto infatti cerca disperatamente  di risalire in alto, verso la casetta sua in cielo, verso la luce, il sole, il bel tempo.

Il problema che si pone  quindi in apertura è quello di  salire al cielo, e questo  si potrà fare risalendo il monte.

Wisky ragnetto deve raggiungere la cima del monte, la casetta che si trova là in cima.

Questa di risalire è una attività quasi automatica: lui sempre risale.

Ma nonostante i suoi sforzi, perde sempre più terreno. Il brutto tempo della vita lo bagna, lo deprime, lo rigetta  verso il basso.[1]

Succede. C’est la vie; è la forza di gravità. La natura è ostile, e la “sorte avversa” vince in queste prime prove di risalita.

I bambini accompagnano questo brano  con le mani,  mimando la sua  arrampicata.

Tuttavia questo stato di prostrazione di Wisky si muterà poi in un momento di  positività, quando splende il Sole, che lo asciuga, e conforta, e rinvigorisce.

Non può infatti essere sempre cattivo tempo, sempre inverno, notte.

Deve ritornare il Sole, la primavera, “Ha da passà a nuttata”, nella vita ci sono i pro e i contro. E’ legge di natura che tutto scorra tra i due estremi polari.[2]

Sin qui  il male e il bene provengono da questi elementi naturali, sono situazioni legate alla ciclicità della vita.

La lezione da imparare sin qui è che se impariamo  come  gestire la notte e la pioggia così come ad utilizzare il giorno riusciremo infine, come il ragnetto, a risalire la montagna. [3]

Wisky ha così capito come si sale sempre più su.

Potrebbe anche arrivare  in cielo, in cima, allora.

Senonché….

Senonché interviene un fattore differente. Infatti,  la casetta  risulta  impraticabile non per ostacoli naturali, involontari, impersonali, passivi, che  vincono la forza del ragnetto, ma per un ostacolo attivo.

Sorpresa!

Dentro la casetta c’è una streghetta.

Ma guarda un po’;  proprio dentro  la tua casa, proprio dentro di te.

Proprio ora che si arriva a casa, che sembrava che potevamo  raggiungere la meta, il nostro  bene, il male allora si presenta in tutta la sua potenza. E questo avversario si presenta dentro casa,  dentro di noi.

E si tratta di una strega; l’archetipo oscuro del femminile, di madre natura.

E si tratta di una che non se ne sta lì buona a filare la calza, anzi diciamo meglio la tela, anzi ancor meglio la ragnatela.

Quella no: quella ti corre dietro per prenderti, per  mangiarti, per inghiottirti nel suo incantesimo.

Per vincere davvero non basta attraversare la notte, dobbiamo vincere la nostra ombra, che è molto più potente di noi.

Non  ce la faremo mai, pensa disperato ragnetto…. Golia è più grosso di Davide, il male è il padrone di casa, egli è il principe di questo mondo, Lucifero è insediato al centro della nostra terra…..

Ci troviamo qui a confronto con l’ombra non solo individuale ma anche  collettiva: la lotta col Male.

Se  volevamo scegliere un simbolo adatto a simboleggiare la madre nera dobbiamo dire che la scelta  del ragno è  tipica e adeguata. Un ragno, senza diminutivo, non un ragnetto.

La vedova nera, lo scorpione, la piovra etc. infatti  sono simboli adeguati a simboleggiare un essere che ti  si aggrappa in modo mortale, soffocante, che ti tira giù, sotto il mare , o che ti cattura dentro una rete, una ragnatela.

Il ragno uccide una mosca intrappolata in una ragnatela in modo crudele e spietato, non  c’è traccia di compassione.

E Wisky è un ragnetto, nell’animo è proprio un ragno: egli dovrà quindi confrontarsi con la propria ombra. [4]

Ed anche la streghetta è una strega;  il diminutivo  non rincuora molto il nostro ragno, di vera strega trattasi;  non c’è proprio da stae tranquilli, proprio niente da ridere.

Ed infatti qui, a questo punto della vicenda, i bambini hanno paura.

Ed accompagnano questo brano della filastrocca con gesti che indicano il portare qualcosa alla bocca e distruggerlo coi denti.

A questo punto , come in un sogno, abbiamo raggiunto un apice, un culmine. La situazione richiede una soluzione,  un ri-solvere. Una  conclusione “per lisi o per crisi”, come si dice in medicina per la risoluzione di una fase acuta di una malattia.

L’unica possibile soluzione per non  soccombere, per non  sottostare a tanta guerra, a tanto avversario, è quello di  chiamare in causa qualcosa di più potente, di più grande della streghetta.

Un elemento femminile ancor più potente dell’odio: un femminile di amore.

E non resta  nella paura che rivolgersi alla mamma. Rivolgersi alla madre, la madre di tutte le cose,  che ci protegga, che  parli alla strega; noi non non ce la possiamo fare,  vedrà lei come fare. [5]

Quello che il ragnetto sa è che in braccio alla sua mamma c’è la protezione assicurata, che non c’è madre nera che tenga se sei in braccio a mamma bianca.

La mamma  è la vera casetta in cima alla montagna, il rifugio sicuro.

Al pellegrino non resta che ricoverarsi  in braccio a Maria-Beatrice, per salvarsi “l’animaccia nera” sua.  Solo la mamma può salvarlo.

Ma  solo a condizione che non se  ne stacchi per nessuna ragione, mai più in futuro; ragnetto ha imparato, ed è  così che è arrivato a casa.

Riassumendo, Wisky  rappresenta  ciascuno di noi.

Wisky è sbronzo, come dice il nome, ha lo spirito che gli da alla testa; biondo ed ubriaco, ha la coscienza  ipnotizzata, obnubilata, ma gli rimane una determinazione a salire sempre più su.

Tuttavia questo non basterebbe  a vincere il male: sarebbe un po’ come un Ulisse che riuscisse ad andare in paradiso senza passare per l’inferno.

Ragnetto ha imparato ad arrivare a casa, è semplice. Ha imparato, a ritornarsene da dove era  venuto.

Per finire, alcune  considerazioni  finali. Il ritmo della filastrocca prevede un forte e e un piano,  un moto attivo ed una  pausa, un incalzare e  un segnare il passo, a sottolineare  dove quel passo porta: più giù, più su….. I suoni  ritmano con le k e le t , (Wisky, ragnetto),  con le a e le m (dalla sua  mamma) l’unione degli opposti, del Sole e della Luna, della vita e della morte; il saliscendi dell’energia.[6]

I bambini ridono, i grandi anche, ragnetto è salvo.

Fine della tragedia, ognuno ha la sua mamma e tutti fan la nanna. Riposo.

Una Divina Commedia, la vita.


[1]         Verso il basso:  l’energia non riesce a risalire, c’è un ostacolo. Quando Dante nella Commedia  cerca dirisalire il monte incontra le tre fiere, e la lupa in particolare fa proprio questo, lo ricaccia giù: “A poco a poco / mi  ripigneva  là dove il sol tace…”

[2]   “Sì ch’a bene sperare m’era cagione / di quella fera alla gaietta pelle (la lonza) / l’ora del tempo ( mattino) e la dolce stagione (primavera)…”

[3]          “Il problema che non ti ammazza ti fa crescere.”

[4]   Per proseguire con  l’analogia con la Commedia, il nostro  Dante dovrà fare i conti con la superbia luciferina del suo Ego.

[5]   Nel momento culminante della Commedia anche Dante si rivolge alla Madre; San Bernardo infatti gli suggerisce che “Orando Grazia conven che s’impetri /Grazia presso colei che può aiutarti”.

[6]          Tre quartine, una terzina, dodici versi ed un tredicesimo sbocco conclusivo, uno e trino.

la donna cannone

Attraverso l’Arte verso l’Individuazione,

La donna cannone e la saggezza nell’arte, Testo e musica di Francesco De Gregori


1. Arte e individuazione

L’insegnamento spirituale è sempre stato trasmesso ad un livello superiore attraverso le sacre scritture, sostenute dalla relazione diretta con qualcuno che ne avesse non solo compreso il senso, ma lo avesse anche incarnato, un maestro realizzato. Tuttavia, quelle verità per molti di noi sono troppo astratte, avanzate, distanti dalla nostra esperienza; e così da sempre si è praticato un secondo modo di trasmettere l’insegnamento, relativo al cammino ed alla destinazione, ossia attraverso l’arte.

La verità infatti, dicono i saggi, viene nuda sulla terra, ma per potere essere guardata essa deve coprirsi, adornarsi e velarsi, per potere risultare accettabili e comprensibili agli uomini. L’arte così veste la verità con immagini, che la esprimono e la traducono, e quindi un po’ la velano e tradiscono; immagini che valgono più di mille parole, che possono parlare a livello letterale simbolico o anagogico di quello che ci interessa, di ciò che siamo, che vogliamo, di dove andiamo. Come dice Dante, “l’uomo solo da sensato apprende”; e così ad esempio nella Divina commedia Dante utilizza la poesia, la bella menzogna, per farci accedere alla nascosta verità, e così anche ogni opera artistica contiene e trasmette messaggi profondi che sono nascosti in superfice.

Questa è la vera funzione dell’Arte, ossia del teatro, della tragedia greca come anche della Divina Commedia, ma anche della musica e delle canzoni, delle poesia e di ogni immagine: in fondo l’intera realtà manifesta può essere vista come specchio della realtà immanifesta ultima assoluta. La funzione dell’Arte è di specchiare la vera natura misteriosa e senza forma dell’artista, la Creazione di essere  specchio del Creatore.

2. La donna cannone

testo e musica di Francesco de Gregori

Per esemplificare come un testo artistico, letterario, possa condurci sulla via del ritorno a casa, accompagnarci nel processo di separazione individuazione, ho scelto di commentare  una canzone nota a tutti gli italiani re spesso ancora trasmessa dai media, sebbene sia stata creata attorno al 1983

La storia racconta , se la leggiamo in senso letterale, di una donna che si fa sparare in cielo da un cannone per il divertimento del pubblico pagante di un circo immaginario. Per questa canzone si ritiene che l’artista abbia tratto ispirazione e da un articolo apparso su un giornale nel quale si parlava di un circo ormai pronto a chiudere i battenti per via della mancanza della sua più celebre attrazione che era scappata proprio per inseguire il suo amato. In una lettura simbolica, quindi, sarebbe l’amore umano, personale, la forza motrice che consente di portare avanti il proprio sogno, un amore coì forte da risultare essere la spinta decisiva per avere una vita differente dal normale. In questa lettura, l’ultimo treno starebbe a rappresentare la morte, per ritrovarsi alla fine da sola ad affrontare quel pericoloso sentiero, e perdersi in quel cielo nero nero.

De Gregori stesso tuttavia avrebbe dichiarato pubblicamente che le sue canzoni non hanno un’unica chiave di lettura. Confortati da questa indicazione, proviamo allora ad interpretare la canzone con una chiave diversa, una chiave di lettura anagogica, ossia diciamo così “spirituale”.

In questa chiave di lettura si fa riferimento alla conoscenza che lo yoga orientale ci propone sulla struttura del corpo sottile dell’uomo, dove si cerca con il respiro e la meditazione di purificare i centri energetici (chakra) e di portare l’energia ad un livello di attività e di coscienza superiori. In questa chiave dunque interpreteremo quelle immagini in senso alchemico, ossia come riferite al processo centrale del risveglio della coscienza, e della sua concomitante e sempre presente attività energetica, intensa purificatrice ed ascensionale, descritta nel conscio collettivo e nell’inconscio personale e nei miti simbolicamente come una ascesa al cielo, un fuoco che illumina e salva, un serpente che si alza e vola.

In questa chiave nel testo di questa canzone si può leggere con una buona chiarezza il processo di risveglio ed attivazione di questa formidabile energia, che esplodendo e percorrendo un condotto unico fa ascendere  amata ed amante oltre il confine della tenda del circo, per giungere nel grande cielo stellato.

Cosi seguendo il testo, e prendendomi la responsabilità di leggerlo in questa chiave, senza assumere per certo che questa fosse la intenzione dell’artista, vediamo cosa ci racconta questo bel testo musicale e poetico.

1. Un giorno getterò questo mio enorme cuore tra le stelle, un giorno giuro che lo faro

Poniamo la opportuna attenzione a come inizia questo testo. Un giorno: si inizia con una precisazione del tempo, del tempo giusto. Il tempo potrebbe essere domani, forse anche oggi, o meglio adesso; il tempo sarà giusto quando sarà il momento, quando il cuore sarà enorme: più che grandissimo, quindi.

La donna cannone è un mistero grandissimo, ed anche di più.

Io getterò questo cuore: è sicuro, lo giuro, mi dedico senza dubbio a questo atto, lo farò; sarò e già sono del tutto d’accordo con questo gettare, gettarmi, tra le stelle.

Tra le stelle di fuori e di dentro, nell’infinito del cosmo, nel mistero, tra di esse, circolando con esse, sarà uno con esse.

E “giuro che lo farò“, ossia sono dedicato totalmente, lo giuro; la canzone inizia con un giuramento. Questo è interessante: siamo di fronte ad un momento certamente di somma importanza.

2. Oltre l’azzurro della tenda nell’azzurro io volerò

L’azzurro è quello del soffitto della tenda del circo, ma anche l’azzurro della volta stellare, il grande cielo.

Qui l’artista ci sta proponendo una distinzione, una precisazione ed una correlazione: c’è un cielo di sotto ed un cielo di sopra, ed uno sconfinamento del primo nel secondo.

Nel cielo di sotto, nel circo del mondo, fatto di carne e di sangue, di stoffa umana colorata di cielo, di un cielo che ripete e vorrebbe assomigliare a quello lassù distante, ecco che noi abbiamo di qua, nel mondo incarnato, l’azzurro di un telone, umano, vicino, limitato.

Esso è una replica minore, ma anche più prossima a noi, e pertanto anche più fruibile, dell’azzurro del cielo lassù: quell’azzurro è uguale ma anche diverso,  è oltre,  è l’assoluto.

Qui l’autore ci sta dicendo della relazione tra questo cielo del circo, del teatro, della vita quaggiù, della divina commedia, con il cielo assoluto, il cielo visitato di persona, come nel Paradiso di Dante.

Ci sta dicendo che le cose stanno così, “così in cielo come in terra”. [1]

Nel dialogo sembra che sia l’autore che parla: io getterò il mio cuore … Tuttavia il soggetto muta continuamente, e lo vedremo meglio tra poco; così,  non si sa bene chi sia a parlare, quasi come se il dialogo fosse interiore, si svolgesse in realtà  nella coscienza, in sé e per sé. Egli ci dice che volerà, che vola: parla come se egli stesso fosse la donna cannone, che sta per volare, che volerà, che sta volando; ci racconta l’esperienza del volo.

3. Quando la Donna Cannone di oro e argento diventerà

Ed ecco introdotto qui il personaggio chiave del discorso, la donna cannone. Di chi si tratta?

Ella qui, già in queste prime frasi, sta raccontando una vicenda universale, misteriosa, enorme come dice il poeta. Sta raccontando di questa ascesa del femminile in cielo e del suo generarsi. Il testo infatti ci conduce per mano  ad esaminare la radice di questo processo, il divenire d’oro e di argento di questo femminile, che fondendosi e risalendo trasportano con sé in alto, nel cuore, nel centro, la coscienza individuale.

Il riferimento in questo inizio di canzone a questi due metalli, l’Oro e l’Argento, ci fa subito pensare alle due polarità tradizionali, di Sole e Luna, di maschile e femminile.

Vediamo qui subito, in inizio d’opera, e come prima figura esplicativa del processo, un riferimento simbolico ben noto a chiunque studi i processi di trasformazione della coscienza e dell’energia, ossia il riferimento ai due canali solare e lunare del corpo sottile umano (nello yoga detti Ida e Pingala).

Il cannone allora qui deve essere inteso come il canale centrale percorso dalla energia unificata, (nello yoga detto Shushumna), una energia che deriva dalla riunificazione, dalla unione dei due canali laterali.

Si tratta qui di un punto cruciale, che consente e produce questo esplodere della Shakti nell’uomo, per portarlo in cielo. Si tratta del viaggio supremo, del viaggio conclusivo e quindi anche ultimo, come vedremo adesso.

4. Senza passare per la stazione l’ultimo treno prenderà

Qui il testo si concentra nell’indicare  come smarrita la via di accesso, non individuabile alla vista comune. Questa via senza punto di partenza fisico individuabile, come una stazione,  farà percorre  questa via di morte e rinascita, questo volo. Questo è quel  treno che porta dove non si deve più viaggiare, dove finiscono i viaggi, alla finis terrae, a casa.

Si tratta di un ben strano volo, un “partire senza biglietto, senza biglietto volare via/ per essere davvero liberi non occorre la ferrovia”[2]. E si tratta di una ben strana ferrovia, poiché   questo strano volo non avrebbe un punto di partenza individuabile nel mondo materiale, per partire per questo viaggio non ci sarebbe la stazione da dove si possa prendere questo treno. Ed in effetti, a ben considerare, non ci sarebbe nemmeno la stazione di arrivo, essendo questo luogo un “non luogo”, al di là delle stelle. La via non c’è, o è smarrita? Roba dell’altro mondo, roba da matti. Come è possibile? Cosa ci sta dicendo il poeta?

Osserviamo che non si può prendere un treno senza che vi sia una stazione. A meno che …. A meno che non ci sia più nessuno che debba prendere un treno. Se il viaggio inizia quando tu finisci, ti dissolvi, vai oltre te stesso, il viaggio della transumanazione. Ecco che si parla dell’ultimo treno perché tu sei giunto alla fine, sei arrivato.

È morto qui colui che voleva viaggiare; ed è proprio così che ci si è ritrovati a casa, già arrivati.

5. E in faccia ai maligni ed ai superbi il mio nome scintillerà / E dalle porte della notte il giorno si bloccherà

Soltanto i buoni potranno fare questo viaggio. Soltanto dopo la purificazione finale Dante è puro e disposto a salire alle stelle; non sarà possibile ascendere prima di allora.

Ma a quel punto Lei, la donna cannone, verrà riconosciuta, si vedrà bene chi sia, si saprà il suo nome. Ed il suo nome è scintillante, pieno di luce e di stelle; lei è la via per le stelle, la via della luce, che ci porterà, oltre la continua alternanza di luce ed ombra, di notte e giorno, oltre il tempo.

Si parla di porte, di luoghi di ingresso, dalla oscurità alla luce; si parla di un “movimento verso”; ma qui non termina soltanto l’alternarsi luminoso, termina ogni movimento. Si entra in un giorno senza notte, si risiede nella chiara luce sempre sussistente, nella luce perpetua di cui ci parla la preghiera ai morti, la luce scintillante.

6. Un applauso del pubblico pagante lo sottolineerà / E dalla bocca del cannone una canzone suonerà

Siamo giunti ad un punto culminante, alla fine dei percorsi terreni: chi è arrivato qui ha pagato (il pubblico pagante applaudirà), e chi ha fatto il viaggio e pagato potrà riconoscerlo; gli altri no.

Ed una” musica celestiale”, un suono di ascesa, il rumore del razzo, l’om sempiterno, la “voce di mille tuoni”, il suono del silenzio, emergono da questa porta, dalla bocca del cannone.

Cosi il cannone non è qui uno strumento bellico che uccide altrui, ma rappresenta la via che consente la ascesa, il liberarsi di una grandissima energia , una esplosione che fa passare la palla pesante di piombo, ossia l’uomo ancora legato alla forza di gravità, dal fondo del cannone alla bocca da cui fuoriesce, liberato dal confine, avendo attraversato.

Ecco come si fuoriesce all’esterno, fuori, nell’infinito mondo celeste; grazie alla vibrazione cosmica, il suono, che manifesta questa rinascita, come un truono, un terremoto, il boato del cannone –  Shushumna che spara questa palla lontanissimo, oltre ogni confine.

La canzone descrive così la fase finale della ascesa, quando i due canali laterali, Ida e Pingala, si congiungono ed entrano nella bocca di sotto, Muladhara, e risalgono insieme come una sola cosa fino a Sahasrara, dove la Shakti si placa nel fondersi con Siva, e l’uomo mortale diviene immortale, uomo dio.

7. E con le mani amore, per le mani ti prenderò / E senza dire parole nel mio cuore ti porterò

Ed ecco che viene adesso descritta più da vicino la fase di ascesa e come aiutarla.

Qui il testo si riferisce ad una operazione di agevolazione della risalita sino al chakra del cuore, da Muladhara chakra fino al chakra del cuore, che potremmo intendere come Anahata (ma forse c’è un significato più profondo nel termine cuore).

Si tratta di una operazione fatta con amore, per amore, si va al centro del cuore; e questo sarà anche il luogo di partenza verso l’infinto stellare di cui ci parla al principio, dal cuore alle stelle.

Il testo dice che possiamo con le mani, operando, agevolare questa risalita, o questo andare in dentro, e che questa operazione accade nel silenzio, prima del piano delle parole e dei significati.

8. E non avrò paura se non sarò bella come vuoi tu

Il testo dice che questo presentarsi ed operare di Lei potrebbe non essere molto bello. Superando una interpretazione estetica, e rivolgendoci invece ad una lettura clinica, sappiamo bene come questi processi di attivazione della Kundalini, in psichiatria transpersonale sono letti come attivazione del canale centrale senza una sufficiente preparazione di distacco ed accettazione del processo di morte rinascita;

Lei parla come se fosse lui qui. Gli dice: non avere paura; ed anche io non avrò paura. Non sarà una passeggiata questa esplosione; ma se siamo uno, non c’è qualcuno che ha paura e qualcun altro che rassicura, e questa versione del testo lo spiega magistralmente. Non c’è distinzione tra loro due, ma qui non si tratta di personalità, di psicologia, bensì di transumanare, nulla di meno di questo.

9. Ma voleremo in cielo in carne ed ossa, non torneremo più…

Il simbolismo della ascesa del femminile sacro al cielo è un arhcetipo presente in tutte le religioni. Nella tradizione cattolica viene rappresentato ad esempio come Madonna Assunta in cielo, o come Madonna Incoronata.

Nella tradizione orientale questa forza che si sveglia e srotola e risale, questo fuoco che ascende viene raffigurato dal serpente che si erge, e che vola come Drago, ed ascende ai chakra superiori, quindi come Kundalini dormiente, attiva ed infine ascendente, tre forme di Shakti Kundalini.

Questi simboli stanno ad indicare un processo effettivo nella coscienza, che molti hanno sperimentato e raccontato, e si riferiscono quindi non solo a rappresentazioni psicologiche e simboliche ma ad esperienza trasformative sostanziali relative ai più elevati gradi di coscienza.

Con questa chiave anagogica di lettura potremo quindi interpretare questa donna cannone come il femminile che esplode, non in un cielo esteriore bensì interiore.

Si tratta in altre parole di quella energia che è dentro di noi, e che di base ci fa vivere, come “nostra vita” che cammina nel “nostro mezzo”, ossia nella coscienza individuale; e che quando si ravviva, quando si risveglia e si attiva, può accadere che possa salire al cielo interiore, in un processo così intenso trasformativo ed irreversibile che l’immagine della canzone ben ci descrive.

Si tratta, per chiunque lo abbia sperimentato, di un processo che assomiglia ad una esplosione, ad un qualcosa che ti fa scoppiare (in psichiatria spesso diciamo che uno è scoppiato), ad una botta in testa, ad un vedere le stelle appunto.

Dopo di che… voleremo in cielo in carne ed ossa. La salita al cielo col corpo è un tema archetipico, eterno, che ritorna ad esempio anche nella Divina Commedia. È chiaro che non si tratta di un viaggio astrale, o un sogno o una visione, ma che dobbiamo leggere questa ascesa in carne ed ossa come una trasmutazione completa, che coinvolge persino il piano fisico, la realtà umana, come nella resurrezione del Cristo, niente di meno. Si tratta di una morte ed una rinascita, una festa di Pasqua, di Resurrezione.

Qui infatti si parla esplicitamente del fatto che l’uomo voli: si parla di volo, di trasvolare, di niente di meno che di transumanare, superare ogni separazione.

Forse è per questo che Lei dice che anche se ci sarà paura, non importa, perché saremo uno, e questo sarà il propellente del volo. Un volo irrevocabile, una trasformazione irreversibile (non torneremo più), un parto di un nuovo essere che non potrà che compiersi sino alla fine.

A questo punto la canzone poi ritorna su sé stessa, con pause musicali, quasi ad incorniciare il ritornello, ossia la strofa melodica che ritorna, per cosi dire, che ridice, che sottolinea qualcosa.

10. E senza fame e senza sete /E senza ali e senza rete voleremo via

Sottolinea che si procede senza fame e senza sete, pur volando col corpo: ossia senza più Desideri. E sottolinea che senza ali si vola, ma non come fanno gli uccelli, con battiti alterni delle ali: qui si procede di moto continuo accelerato. E non c’è protezione, salvezza, si vola senza rete: un volo senza ritorno, ecco, così voleremo via. Ecco come si ritorna al centro del cuore.

3. A casa

Per finire, la strofa finale parla del trascendimento totale. Vediamo come.

Così la donna cannone quell’enorme mistero volò.

Non si può commentare né descrivere questo mistero sommo: siamo giunti al limite di possibile rappresentazione, come dice il Buddha, siamo giunti: “a l’alta fantasia qui mancò possa”, come dice Dante.

Tutta sola verso un cielo nero nero si incamminò

Dopo l’ultimo treno che si può prendere, non ci sono più tempo e spazio, destinazione, personaggi. Qui non c’è più immagine, soggetto o oggetti, non c’è più niente e nessuno. Questo essere soli è l’anticamera dell’Uno, il non vedere più, di uno, e di tutti, oltre questa distinzione.

Tutti chiusero gli occhi nell’attimo esatto in cui sparì

Siamo qui giunti oltre il tempo e lo spazio, come nell’Empireo della Commedia di Dante: qui non c’è più il mondo rappresentato, ogni distinzione è scomparsa, e non c’è più niente, non c’è più nessuno. Per questo poi segue:

Altri giurarono e spergiurarono che non erano mai stati li

Si giura di nuovo, come all’inizio: non c’ero più; all’inizio, è vero, c’ero ma dormivo, ero in uno stato di sonno, dal quale il risveglio mi ha salvato.

4. E poi

Così termina questo racconto breve, che riguarda il cammino e la meta, la salvezza da parte della Dea e il trascendimento di tutto, la Grande Liberazione.

E questo messaggio di speranza non è un messaggio perché uno solo si salvi, ma è universale, è per l’intera umanità. È un messaggio per tutti, come il Vangelo: la risalita al cielo dell’amore per tutti.

Una domanda che spesso mi vien posta è se l’artista fosse o meno consapevole di quanto c’è nelle sue opere; se sapesse quello che noi ora gli stiamo attribuendo, se voleva dirci proprio quello. Ebbene, io credo che nel caso di Dante la risposta è certamente si; nel caso di molti poeti, che de Gregori peraltro ridicolizza, forse la risposta sarebbe no. Nel caso del nostro cantautore, dopo quanto abbiamo visto insieme sembra proprio che egli parli per esperienza personale, e che quindi , come ogni maestro, sappia cosa dire e come dirlo, e sappia anche farlo passare per cosa leggera e bella, che ci rivolga con la sua bella canzone un invito delicato e profondo, che ce lo dica con ingegno e con arte.

Così, soltanto se noi sapremo riconoscerne la grazie e l’amore, quel messaggio come un bel fiore si schiuderà donandoci il suo nettare, altrimenti noi passeremo oltre, e canteremo per anni cose di cui non comprendiamo il senso, e lui anche così sarà con noi e ci allieterà nella nostra notte incosciente, e non ci disturberà. In fondo sono almeno quaranta anni che ha pubblicato questa canzone e la ascoltiamo ancora molto spesso e con piacere.


[1] In una canzone chiamata Renoir, di poco precedente, il testo dice: gli aerei stanno al cielo, come le navi al mare…

[2] Dalla canzone “Gesù Bambino”, F. De Gregori.

Medice, cura te ipsum!

1. Circolazione dell’energia

Come psichiatra, nel corso egli anni, ho praticato diversi  tipi di terapie; devo dire  che dai tempi della mia laurea, ormai più di quaranta anni fa, ad oggi, i mie interventi sono stati sempre  più rispettosi della natura, hanno cercato sempre di più di uniformarsi al metodo naturale.

Mi sono sempre chiesto, nel tempo ma quale è  la natura delle cose, la natura dell’uomo, della salute e della malattia? Come può un medico intervenire in maniera naturale? E quando è legittimo impiegare una operazione artificiale  all’interno di un progetto che segue la natura?

La sapienza antica, filosofica e religiosa, applicata all’arte medica sostiene che  la sofferenza e la malattia derivano dalla rottura di una legge, la legge di natura; l’ordine  organico dell’individuo  è sovvertito, donde il male. Salute e malattia non sono tuttavia opposti; sia sul piano fisico che psichico, talvolta la malattia  rinforza la salute, e bisogna passare per l’inferno per giungere al paradiso. Infatti, a volte le malattie, esogene ed endogene, in un sistema semiaperto ed omeostatico quale è l’essere umano, sia dal punto di vista fisico che psichico, sono  sintomo di una fase  naturale di trasformazione, di morte rinascita, e sono quindi uno stato naturale dell’uomo.

La legge della vita sembra così fatta  di opposti, e di equilibrio tra di essi, come indica il simbolo del Tao. Gli opposti “respirano” dall’uno all’altro, ed ogni  polarità circola tra uno suo massimo ed un massimo contrario, passando per un centro minimo, un centro di croce, di riassorbimento di ogni polarità.

Attraverso gli opposti si realizza il processo di crescita ed individuazione: bisogna scendere per risalire, passare per l’inferno per ascendere al sommo dei cieli. E’  attraverso la morte della illusione  della vecchia identità che si rinasce liberi nel Sé.

Ecco un esempio tratto dalla mia attività clinica: il Sogno del vulcano

Assisto alla eruzione di un vulcano, tranquilla ed operosa. La lava che fuoriesce dal cratere scende spiralmente, allargandosi ed   attorcigliandosi  conformandosi al  cono  del vulcano, fino a giungere al piano terra.

Qui essa inizia a scavare nella terra una fossa conica, speculare al vulcano stesso, attorcigliandosi e discendendo fino all’apice inferiore.

A questo punto,  vedo come la lava inizia a risalire nella terra per un condotto che sbucherà in cima al vulcano, dove diviene direttamente  la lava che esce.

Tutto questo è molto armonico e naturale.

Il sogno indica  come il ricircolo energetico psichico in questa persona segua una legge  equilibrata, dove la discesa e la risalita sono complementari ad una circolazione intelligente.

2. Il metodo naturale

Un intervento medico o chirurgico è un intervento che ha un potere curativo, e mira al mantenimento o al ripristino della salute, che sarebbe lo stato naturale dell’uomo.

A volte l’intervento deve piegare la natura, ricondurla all’ordine  in maniera artificiale, (pensiamo ad un intervento chirurgico   di rimozione di un calcolo, di una ostruzione nel tratto digerente o respiratorio).

Il fine giustifica i mezzi? Forse si, purché qualcosa giustifichi il fine.

Quando  è che nel lavoro clinico un metodo naturale, che vuole aiutare la natura, che segue la natura, per piegare o accompagnare la natura, diviene artificiale?

Questo è particolarmente vero in psico terapia: il metodo che utilizziamo dovrà esso stesso essere  naturale, per produrre un risultato non artificiale.

Un detto recita: anima naturaliter religiosa, l’anima è religiosa naturalmente.

Dante dice: “Ma non sapete voi che noi siam vermi /nati a formare l’angelica farfalla/ per volare al cielo sanza schermi?”.

Così, se la natura dell’uomo è svegliarsi, se lo scopo dell’esistenza è il ritorno allo stato di coscienza del risveglio, un metodo che aiuti questo processo di individuazione  sarà naturale e legittimo, ma  dovrà tenere conto della altrettanto naturale tendenza della coscienza individuale a resistere al risveglio e  mantenere l’illusione.

Si dovrà quindi procedere “con ingegno e con arte”, ascoltando e seguendo la natura delle cose in quel momento e condizione. Il metodo  non dovrà essere astratto, ma adattarsi alla natura per essere naturale, seguendo l’indicazione che i medici ben conoscono:  “non puoi vincere la natura se non sei colla natura”.

In psicoterapia ad esempio, interpretare un sogno in senso letterale potrebbe fare violenza alla natura del momento terapeutico, ma anche interpretarlo a livello anagogico potrebbe esserlo, quando il paziente non è pronto a compiere quel salto id coscienza che lo liberi dalle proiezioni  e dinamiche interpersonali.

Similmente, anche interpretare  anzitempo ed intenzionalmente, artificialmente un sogno o un comportamento, collegandosi a piani di coscienza non ancora raggiunti dal paziente, potrebbe essere il modo, lo stimolo, il sostegno, la provocazione che  consente come una ferita chirurgica sapientemente portata  alla giusta profondità di aiutare la nascita di quel  momento successivo naturalmente, come farebbe un chirurgo che compia un cesareo.

Ma come deve cambiare allora il metodo a seconda delle circostanze? Dante sostiene che  bisognerebbe comportarsi “in chiesa coi santi ed in taverna coi briganti”, ossia il comportamento giusto dipende dalla situazione, e non si può dare una regola di comportamento  rigida ed avulsa dal contesto. Si presuppone qui che chi si comporta così non sia né santo né brigante, bensì al di là, e questo stato consente il giusto comportamento.

L’iscrizione sul frontone dell’oracolo a Delfi diceva  infatti “conosci te stesso, e conoscerai gli uomini e gli dei”. Si tratta di conoscere la vera natura dell’uomo, quella eterna e quella temporale, l’immortalità e la fragilità di questa specifica vita, il vero dio e il vero uomo che siamo.

3. Medice cura te ipsum

Un detto classico simile a questo ed applicato alla terapia  recita proprio cosi:

Medice, cura te ipsum. ossia “O medico, cura te stesso”

Esaminiamo più da vicino cosa implica questo consiglio su come procedere,  sul metodo terapeutico implicato.

Un primo significato, più letterale e simbolico, indica la necessità di essere sani di mente per potere guarire i malati psichici; il detto  dice  “ cura dapprima te stesso”, come condizione  preliminare ma anche indispensabile per curare il prossimo.

Sembra tuttavia sotteso in questa affermazione che esista una connessione diretta tra colui che cura e colui che viene curato, simile a quanto afferma il vangelo quando dice di  amare il prossimo  come  noi stessi, perché il prossimo è noi stessi. Non si tratta solo di una analogia, piuttosto di una identità, della non realtà della separazione.

Qui si sta dicendo che la realtà,  la natura delle cose, è che esse sono una sola cosa: si insiste  sulla non differenza tra curante e curato, sull’essenzialità di questa identità nel processo di cura, poiché  è proprio questo ciò che cura. La terapia si svolge in realtà in un luogo non luogo, in un centro non duale, che fa parte di entrambi, o di nessuno.

Il medico che questo conosce, tutto conosce; e sarà una conoscenza diretta,  per esperienza personale; ed avendola sperimentata  in precedenza, e la sperimenta in ogni situazione.

Questa comprensione diviene realtà sperimentata anche per il paziente nel corso della terapia, e costituisce il fattore curativo centrale, ciò che consente non tanto di risolvere  i problemi quanto di dissolverli, attraversandoli con uno stato di coscienza unitario.

Questo a mio parere è comprendere quel detto antico  più profondamente e potersi giovare del suo potenziale operativo. In altre parole, nel detto è contenuta la indicazione che  soltanto risiedendo nello stato naturale e sereno del “Sé” si potrà operare in maniera naturale nel  travagliato “me”. Soltanto quando il terapista risiede ed opera e si riconosce nello stato transpersonale, esiste l’appoggio sicuro non tanto per lui quanto per il paziente per attraversare  le vicende alterne  e la sofferenza individuale.

Da quanto detto si comprende come questo metodo non si possa insegnare ma si possa imparare, da dentro, da sé stessi, come dice il detto.

Basterà ascoltare  la natura e sé stessi, ascoltare il cuore, portare l’attenzione verso questo stato transpersonale, se possibile, e così si diviene l’altro. Nel concentrarsi nell’osservazione di  una cosa, nell’immergersi, nell’andare dentro, (da cui intuire, dal latino intus ire) accade una identificazione, si sperimenta uno stato di  non separazione, al punto da essere uno con quella cosa; ed allora accade che quella cosa entra dentro di te, e tu diventi lei. Ma tutto ciò è estremamente naturale! Poiché siamo già uno.

E’  la cosa più facile del mondo, è già cosi.

Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa

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1. Cosa dice il detto

È chiaro sin dal principio che stiamo enunciando una verità che dovrebbe esse chiara a tutti; si dice che bisogna dire le cose come se si parlasse a n bambino di 3 anni, o alla tua nonna.

Bene la immagine buffa ed inconsueta spiega tuttavia chiaramente a tutti una verità da recepire: ci sono cose più ed altre meno importanti

La prima verità che la panca, inanimata e la capra, che campa o crepa, sono due cose ben differenti; non andrebbero trattate come simili, come se fosse indifferente in che ordine mettiamo la ita, perché altrimenti potremmo trovarci molto male. La capra rappresenta la vita, per quanto disordinata, incomprensibile, da rispettare nella sua libertà; ma la panca serve a sostenere chi vi si voglia appoggiare, in genere sostiene anche più persone, insomma è uno strumento individuale e collettivo. Rappresenta la mente, qualcosa che ci fa comodo, svolge un servizio.

Quindi mettere la capra sotto la panca, come importanza, rischia di fare soffrire il povero animale, per una stupidità di colui che fa la scelta; è evidente che la capra dovrebbe stare sopra, sia perché deve pur campare, sia perché cosi la panca la usiamo per i versi giusto.

Nella analogia di panca mente e capra vita, esiste un altro detto: la mente è una ottima serva e una pessima padrona. Si insiste nuovamente sull’ordine corretto delle cose, su chi deve stare sopra, comandare, e chi deve servire, eseguire, sostenere.

2. Manipolazione da correggere

Per divertirci ancora un po’ di questa buffa cosa di capre e panche dobbiamo anche ammettere che noi di panche magari non c’intendiamo molto; forse dipende anche da quanto è alta la panca, che tradotto significa che si può cercare un adattamento pur di non comprendere davvero la necessitò della inversione, capra sopra e panca sotto; l’adattamento potrebbe alzare la panca, abbassare la capra, insomma una cosa un po’ manipolativa, no?

Mio figlio di pochi anni, interrogato su capre e panche, sbrigativamente ma forse saggiamente ha sentenziato:

“Se la linea della vita è determinata dalla panca, allora se sta sopra vivrebbe, ma è un ragionamento e basta….

mi sembra una delle solite stupidaggini tue, papà, gli stai dando tropo significato. Magari ti trovi a dare troppo significato a cose che non ne hanno. Perché, sai, non esistono cose che non hanno senso, ma neanche cose che ce l’hanno: noi viviamo nel non senso, e devi fartene una ragione, e in un mondo senza senso Dio non esiste.

Poi si vive a tanti livelli: più che “come” stai, si dovrebbe chiedere “dove” stai…”

Ma qui allora ritornava sul punto di partenza, dandomi in fondo anche ragione, o no?

3. Sciogli lingua

Si tratta di uno sciogli lingua; la ripetizione delle sillabe simili induce in errore, che rafforza, raddoppia attira l’errore che si vorrebbe correggere.

L’errore, come accade nel caso dei lapsus e degli atti mancati, potrebbe rivelare come l’inconscio conosca cose che la coscienza ignora, o che forse contrasta, proprio perché comprende la portata della cosa che rifiuta.

Quindi per esempio se noi ci sbagliamo, e diciamo per errore che la capra panca, o la panca crepa, stiamo proprio facendo qual rimescolamento riposizionante che la filastrocca vorrebbe farci considerare.

Ecco quanto è intelligente la lingua che ce lo racconta, lo dice e lo fa.

Nello sciogli lingua, la attenzione del soggetto che si avvicina al detto, che lo vorrebbe percorrere, si trova davanti una specie di percorso ad ostacoli, può mettere il piede in fallo ad ogni passo, cosi è obbliato a usare tutta la sua attenzione nel cammino lungo queste sillabe e queste frasi; il risultato è che difficilmente scorderemo questo detto, sorrideremo contenti ogni volt che qualcuno lo  tirerà fuori, e saremo fieri di dirlo bene, di averlo quindi  messo dentro di noi a dovere, che lo abbiamo proprio fatto nostro, siamo bravi con quel detto,  come dire lo abbiamo  davvero capito.

4. Concentrazione e assorbimento

La ripetizione perfezionativa del detto in fondo è una pratica di concentrazione; se non sembra troppo azzardato, per la semplicità sospetta ed indicativa del testo, viene da avvicinarla ai koan zen, o alle pratiche meditative del Raja yoga: lo stadio dell’assorbimento, una forma di dharana che prelude a dhyana.

Il teatrino che la breve e semplice immagine allestisce per noi, come tute le forme di teatro, sta raccontando con le immagini e una sequenza un processo energetico e coscienziale che altrimenti sarebbe peri più troppo arduo penetrare; si raccontano storie, che parlano di verità più profonde.

Questo teatrino buffo della capra e della panca, come al solito è qualcosa che i bambini comprendono subito divertendosi, mentre gli adulti lo considerano dubbiosi corrucciati, quasi che qualcuno li volesse fregare, avvantaggiarsi se loro perdono la prova e cadono in errore durante la recitazione.

Per la clinica, è interessante ribadire che ciò che viene prima è il benessere della struttura vivente, l’essere, e che la mente deve sottostare a tale benessere e sostenerlo, on divenire una  prigione che non  ti lascia più vivere.  First things first!