La vite e i tralci
Dice Gesù, nel Vangelo di Giovanni:
“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca”.
Questo passo sostiene che non ci sia differenza tra il maestro, la coscienza realizzata, il Sé incarnato, uno con il Sé assoluto, e l’individuo, che è vivo grazie a questa connessione, produce frutto grazie ad esso; chi non è connesso è come fosse morto, e la analogia lo illustra bene. Non esiste tralcio senza vite, e il tralcio non è altro che la vite in forma di tralcio. Inoltre chi fa l’uva non è il tralcio di per sé, se non perché è parte della vita, che in quel tralcio è divenuta speciale, specifica. Chi fa l’uva è indubbiamente null’altro che la vite; e tuttavia è certamente il tralcio che fa l’uva.
Vediamo come il Maestro qui esponga la verità attraverso il paradosso. In questo breve commento vorremmo sostenere che non si tratti qui di un caso particolare, bensì di una legge generale: la verità non puo’ essere esposta se non in maniera incomprensibile, assurda, inaccettabile. Si presenta come confusione, o come complessità: come tenere insieme capra e cavoli , risolvendo il conflitto?
In una canzone di De Gregori, (Buffalo Bill),ad esempio, si dice
“tra la vita e la morte avrei scelto l’America”
superando quindi con un cambiamento di logica la insolubile dicotomia.
La mente infatti non è uno strumento di conoscenza: essa processa i dati, le informazioni, la visione delle cose, in termini dualistici. Vediamo alcune altre dicotomie del genere: si dice anche ad esempio che noi siamo “vero uomo e vero Dio”, che siamo già dei “Buddha” ma ancora non ce ne rendiamo conto, perché siamo in una condizione di ignoranza, di sonno. O ancora: “se nasci tondo non puoi morire quadrato”, si dice, intendendo che il cerchio ed il quadrato hanno forme notoriamente incommensurabili: la quadratura del cerchio non è stata ancora trovata.
E questa della impossibile quadratura del cerchio in effetti è anche l’esempio che Dante propone alla fine dell’ultimo canto della Commedia. A quel punto egli confessa che stava osservando totalmente assorbito nel mistero dei tre cerchi in uno, in cui vedeva la Trinità di Dio e dell’uomo contenuto in essa; ci dice che stava cercando di comprendere, cum prehendere, contenere, vedere, quale fosse questo principio, che consente di equiparare il cerchio al quadrato. E ci dice che era proprio come un geo-métra, un misuratore della terra, che non trova quel principio che gli serve e gli manca (ond’elli indige). Ebbene, ecco che la soluzione della condizione irrisolvibile per la mente accade attraverso un vero e tale salto di percezione che il problema non viene risolto, quanto dissolto (un fulgore percosse la mia mente, un fulmine). Ascoltiamolo:
“Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore … (2)”
Ebbene, il paradosso sembra l’unica via, poiché la mente normale non ce la può fare. Nemmeno Dante: sono altezze, o profondità, che non si possono raggiungere, anche per i più capaci, esperti, puri.
Jung propone una versione psicologica di questo confine nella conoscenza, quando ci parla della funzione trascendente:
” La funzione trascendente è il tramite fra conscio e inconscio. E’ quella funzione fondamentale che permette di integrare contenuti consci e inconsci superando il dualismo degli opposti.” (3)
Questa funzione psichica consente di tenere insieme gli opposti e partecipare, consentire, persino far parte, del mistero della congiunzione (mysterium conjunctionis); essa è quella funzione che consente di trovare il bene nel male, di dare la possibilità all’intero di presentarsi in forma paradossale: come quando si dice, ad esempio, che
“il male è il trono del bene”
Questo detto non esclude che il male sia male, ma ne sottolinea la necessità e persino la sua utilità (non tutto il male viene per nuocere).
Terminerò questo brevissimo commento così:
“Sarò breve, Signori;”
Ho finito.
Note
1. Dal Vangelo secondo Giovanni, 15, 5
2. Par 33°, vv.132 e segg.
3. Jung, Tipi psicologici Carl G. Jung, Milano, Boringhieri, 1984